La griffe c’è ma non si vede

C’era una volta il Made in Italy…sinonimo di cura estrema dei dettagli ed altissima qualità.

C’era una volta lo Stile Italiano, fatto di tradizione, di mano d’opera esperta, di alta professionalità.

C’era una volta il culto della perfezione sartoriale, dei tessuti di pregio…c’era la poesia.

Gli scenari cambiano. Da diversi anni ormai la proprietà di tanti e tanti marchi, che da sempre avevano rappresentato l’orgoglio italiano, è passata in mani straniere.

Molti fiori all’occhiello del Bel Paese sono andati a portare lustro e ricchezza in altre realtà, facendo perdere all’Italia prestigio e posti di lavoro nel settore della moda e non solo.

Ma non finisce qui! La spregiudicata corsa alla delocalizzazione ha fatto il resto, in un gioco al massacro in cui in nome della “crisi” è stato giustificato praticamente tutto, fornendo un alibi per i più scaltri, un’opportunità enorme per quanti si sono trovati nella posizione di poterne approfittare.

Crisi vera per molti, certo, ma non per tutti. E così i “furbetti del quartierino” se ne sono avvantaggiati, certi del fatto che gli ingenui consumatori si sarebbero accorti del brusco calo nel livello di qualità con grande ritardo o forse mai, per niente.

Loro avrebbero continuato a comprare senza porsi troppe domande e questa era una certezza.

Possedere un capo firmato rappresenta per molti l’illusione di  appartenere ad un mondo al quale in realtà non si appartiene, l’evasione dalla propria realtà insoddisfacente. Non importa se il capo acquistato sia davvero di qualità, o se sia donante per chi lo indossa, quello che conta è accedere ad un mondo, o meglio accedere ad un modo di apparire senza curarsi minimamente, non dico di accedere, ma almeno di comprendere quale sia, come funzioni, il modo di essere sottostante al tipo di immagine che si vuole imitare.

Indossare gli abiti, possedere accessori che indosserebbe una persona di fama.

E pensare che una vera star quegli oggetti non li paga neanche!

Ogni Maison di moda si contende con le aziende concorrenti la possibilità di vestire i personaggi più in voga.

Poi arriva un comune mortale e spende uno stipendio intero per comprarsi un abito che in realtà non potrebbe permettersi…

Intendiamoci, ognuno è libero di impiegare i frutti del proprio lavoro come meglio crede!

Di certo nessuno ti chiamerà per interpretare il prossimo film di successo solo perché sei vestito come una star di HollywoodSpiacente che sia toccato proprio a me dovertelo dire.

“la griffe c’è ma non si vede” è una frase, un titolo, che ho pensato con dei significati diversi ma tra loro collegati e correlati.

Il primo, ciò di cui ho parlato all’inizio, con il senso un po’ provocatorio che alcune volte il prezzo che i consumatori-adepti di una maison di moda sono disposti a pagare  per un capo firmato non ha alcuna relazione con l’effettiva qualità.

Detto ciò, ci terrei a precisare che non ho nulla contro i capi firmati, anzi!

Dico solo che senso critico ed autonomia di pensiero non dovrebbero mai abbandonarti e così, quando stai per acquistarne uno, invece di pensare al “prestigio” che ti potrebbe derivare dal possedere un oggetto griffato – prestigio peraltro tutto da dimostrare – domandati piuttosto se sia stato realizzato a dovere, se sia davvero adatto a te, quanto ti valorizzi.

Eh sì, perché una volta indossato l’abito, il marchio non si vede e tutto quello che resta è l’effettivo pregio della creazione ed il modo in cui tu lo indossi.

“La griffe c’è ma non si vede” vuol dire anche questo. Il marchio non si vede nel senso che non deve vedersi. Si tratta di una semplice norma di buon gusto che porta a bandire i marchi a vista.

L’unica eccezione ammissibile può essere rappresentata dall’abbigliamento casual e sportivo poiché questi generi, sposandosi bene con l’ironia,  lasciano grande spazio alla libertà a scapito del rigore.

Un esempio su tutti la t-shirt  su cui campeggia il nome dello stilista a caratteri cubitali. In questo caso le scritte sono ben accette e offrono una feconda occasione per creare movimento, contrasti cromatici interessanti, o per impreziosire con applicazioni e cristalli luminosi una mise che altrimenti risulterebbe anonima.

E, sempre a proposito di bon ton, dalla regola sopra citata – che del marchio bandisce l’ostentazione visiva – discende l’intuitivo corollario secondo cui riferirsi ad un capo d’abbigliamento, appellandolo con il nome dello stilista che lo ha ideato, non fa certo acquistare punti sul piano dell’eleganza.

Frasi come “stasera indosserò un Tizio, un Caio, un Sempronio” – per intenderci -andrebbero accuratamente evitate.

E’ vero che una creazione di moda è pur sempre espressione di creatività, e può, nei casi più felici, essere a pieno titolo considerata un’opera d’arte, ma riferirsi ad un paio di pantaloni come se si trattasse di un Caravaggio, un Rembrandt, un Picasso mi sembra un tantino esagerato. La tentazione è forte, lo so, ma bisogna imparare a non cedere.

“La griffe c’è ma non si vede” significa che nulla si deve notare che non sia il tuo stile unico e personale, quello che nessun altro potrebbe mai imitare.

A questo scopo non serve necessariamente una firma prestigiosa, ma che tu sia presente a te stesso. Il capo griffato  non è il protagonista ma un mezzo. Semaforo verde a patto che esprima realmente qualcosa di tuo.

Il focus quindi non è solo sull’immagine, perché interno ed esterno sono due facce della stessa medaglia e non puoi migliorare la tua immagine se non  accresci il tuo potere personale.

Se proprio vuoi imitare le persone di successo dovresti cominciare dal livello più profondo, domandarti come deve essere realmente la loro vita, come si sono conquistate la posizione che hanno, l’impegno profuso per imparare l’arte che ai tuoi occhi sembrano padroneggiare da sempre.

Diventa bravo in qualcosa che ti sta a cuore come loro sono diventati bravi a cantare, ballare, scrivere, suonare o recitare, o più semplicemente a farsi strada nella vita, ed impara di pari passo a curare la tua immagine con la stessa scientifica impostazione. Solo così potrai ottenere degli ottimi risultati.

Se l’immagine non è sostanza allora è solo una maschera.

Daniela Barlone | Style Coach

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