Amplificare se stessi

Già da bambina mi bastava qualche secondo per capire che tipo di persona avessi davanti.

A quel tempo non davo peso alla cosa, credevo che fosse normale, credevo che funzionasse così per tutti.

Crescendo il mio istinto ha cominciato a cedere il passo alla ragione.

Farmi un’idea del prossimo nel giro di qualche secondo cominciava a sembrarmi immorale.

Bisogna conoscere bene le persone prima di assegnare loro una “collocazione”!

E così mi sono sforzata di non vedere ciò che per me era naturale vedere e forse di non essere ciò che per me sarebbe stato naturale essere.

Ho imparato a “ponderare” i miei giudizi, a prendere in considerazione altre opzioni oltre quelle che mi suggeriva l’istinto, salvo dover ammettere poi, che tutto mi riconduceva al punto di partenza e che processare le informazioni provenienti dall’esterno in modo razionale era per me una forzatura, qualcosa che mi toglieva efficienza.

Insomma mi sforzavo di non vedere ciò che per me era pura evidenza, aspettavo altre (superflue) informazioni che mi permettessero di “scegliere tra diverse opzioni” e alla fine mi rendevo conto che tutto era chiaro e semplice fin dal principio.

Se dovevo arrivare alle stesse conclusioni facendo un giro più lungo, tanto valeva fidarmi di me sin da subito!

Più avanti negli anni mi capitò una cosa molto interessante.

Lavoravo in una scuola di ballo. Erano i “mitici” anni in cui esplodeva il boom della Salsa ed io, avendo iniziato a ballare diversi anni prima, ero entrata a far parte di un team di assistenti, di quelli che affiancano i maestri in questo genere di cose.

Ebbene, quello che osservavo con grande stupore era il modo in cui venivano “incasellate” le persone.

La scuola andava molto bene e vantava iscritti davvero numerosi per cui il mio campione di riferimento era più che sufficiente. Devo dire però che il tutto era organizzato come una specie di setta, nel senso che l’opinione di ognuno altro non era che l’opinione (reale o dichiarata) del leader e questo falsava non di poco la mia “rilevazione”.

La cosa che mi colpiva comunque era che le persone venivano catalogate sulla base di marker esclusivamente esterni!

Per quale motivo la stessa realtà vista con i miei occhi era tanto diversa?

Di certo ho potuto trarre una prima regoletta molto pratica.

Se volete comunicare con il resto del mondo – e penso che tutti in misura maggiore o minore abbiamo questa esigenza – siate estremamente espliciti!

Fate sentire il peso di chi siete!

La speranza che il prossimo vostro sappia leggere tra le righe potrebbe essere vana. Lo è nella stragrande maggioranza dei casi.

Se avete deciso chi volete essere rendetelo manifesto con dei segnali esterni come un negozio con la sua insegna luminosa. Andreste mai in un panificio per comprare un paio di scarpe? Non aggiungerò altro…

Torniamo al nostro discorso.

Fin qui quello che mi era chiaro era semplicemente che riuscivo a leggere determinati segnali ma non capivo come riuscivo a farlo e perché.

Le risposte sono arrivate in modo piuttosto casuale…o forse no…

Avevo un amico che si occupava – e si occupa tuttora – di Formazione e Sviluppo Personale e questo era tutto ciò  che sapevo del suo lavoro.

Finché un giorno non ho preso a leggere ciò che scriveva sul suo sito e a quel punto mi si è letteralmente aperto un mondo!

Lo so, vi sembrerò ingenua, probabilmente per voi rivolgervi a professionisti di questo settore è la cosa più naturale del mondo, ma per me a quel tempo non lo era.

Avevo lavorato tanto su me stessa, ottenendo anche buoni risultati, avevo studiato le persone anche senza volerlo, ma avevo sempre fatto tutto da sola, con tutte le lungaggini e i rischi che la cosa comporta!

La possibilità di fare questo in modo “professionale” è stata per me una piccola rivoluzione.

Ho iniziato a studiare e ad approfondire il ReSonance, un modello che utilizzando aspetti somatici e linguistici, facilita le persone nel compiere azioni in linea con chi sono veramente, e tutto questo in modo assolutamente fluido e naturale.

All’inizio ho utilizzato questo modello su me stessa per capire in base a quali meccanismi funzionasse e, solo dopo una lunga esperienza, ho iniziato ad usarlo nel mio lavoro.

Il punto è che nella Consulenza d’Immagine si insiste sempre sull’aspetto relazionale.

Io stessa lo faccio, anzi l’ho fatto in questo stesso articolo quando ho parlato di comunicazione chiara ed esplicita.

Ma c’è un altro aspetto, se non più importante certamente precedente, che riguarda l’impatto che la nostra immagine ha su noi stessi.

Anzi, volendo andare ancora un passo indietro, riguarda cosa deve essere vero per una persona perché questa decida di adottare un certo stile piuttosto che un altro.

Le persone possono restare “intrappolate” in schemi mentali che non riescono a cambiare e che il più delle volte non si rendono neppure conto di dover cambiare.

Perfino l’aspetto esteriore può essere una “gabbia” dalla quale non si riesce a scappare.

E quello che è peggio è che le persone quasi sempre non si rendono conto di essere in gabbia.

Quando pensiamo a noi stessi quasi sempre lo facciamo per immagini, come se stessimo vedendo un film o una diapositiva.

Ognuno di noi è, nel proprio immaginario, l’insieme delle “foto” dei momenti salienti della propria vita.

L’immagine del giorno in cui mi sono laureata, l’immagine di me che guardo mio nipote appena nato, la foto che mi ritrae nel giorno in cui sono stata brillante ad un colloquio di lavoro, io che vivo una storia d’amore, ma anche l’immagine di un istante qualunque che mi ricorderò sempre perché, in quel preciso istante, era presente uno stato di grazia che rappresenta l’essenza di chi sono veramente.

In questa sequenza di immagini ci piace quello che vediamo?

O ci fa sentire bloccati?

Quello che faccio nel mio lavoro è scoprire quali sono le immagini che è necessario inserire nella sequenza della persona, la rappresentazione iconica di chi è veramente, affinché si inneschi una sorta di “processo inverso” che partendo dall’aspetto esteriore  renda reale e tangibile quel mondo interiore che ancora è presente solo in forma “embrionale”.

Dalla consapevolezza di sé è molto facile che derivi “la giusta immagine”, ma la giusta immagine può essere anche la chiave di accesso ad un percorso che conduce alla consapevolezza.

Io ti vedo!

Daniela Barlone | Style Coach

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